FAQ - Domande frequenti
In questa sezione sono raccolte alcune delle domande più ricorrenti che i Clienti pongono su questioni di diritto di famiglia, civile e del lavoro.
1) In cosa consiste il "mobbing" ?
RISPOSTA: Il "mobbing" è un fatto illecito, consistente nella sottoposizione del lavoratore ad azioni che, se pur singolarmente considerate non presentano carattere illecito, nel loro complesso risultano moleste e attuate con finalità persecutorie, tali da rendere penosa per il lavoratore la prosecuzione del rapporto di lavoro o anche il semplice recarsi sul posto di lavoro.
Il "mobbing" in pratica consiste in un comportamento reiterato nel tempo, da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a isolarla e a respingerla dall'ambiente di lavoro, con conseguenze negative dal punto di vista, sia psichico sia fisico.
Gli atteggiamenti tipici del "mobbing" individuati dalla psicologia del lavoro come idonei a colpire il lavoratore menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso sono, a parte le situazioni scolastiche della ripetizione di richiami, note di biasimo e sanzioni disciplinari, demansionamenti, sottrazioni ingiustificate di benefits o vantaggi precedentemente attribuiti, che devono presentarsi con carattere di ripetitività e di continuità nel tempo.
2) Posso essere trasferito senza il mio consenso ?
RISPOSTA: La questione del trasferimento del lavoratore da una sede di lavoro ad un'altra trova la sua disciplina nell' art. 2103 II° comma c.c., così come riformato dall'art. 13 della L. 300/70 (c.d. Statuto dei Lavoratori) il quale testualmente recita "Egli (il lavoratore) non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive".
In altre parole, il datore di lavoro non può arbitrariamente disporre il trasferimento di lavoratori senza spiegare e provare l'esistenza di un motivo che oggettivamente giustifichi il trasferimento.
Ad esempio può essere considerato legittimo, ex articolo 2103 c.c., il trasferimento del lavoratore disposto per incompatibilità aziendale, qualora tale incompatibilità determini disorganizzazione e disfunzione nell'unità produttiva, tali da indurre il datore di lavoro a spostare il lavoratore, semprechè tale provvedimento non nasconda finalità punitive; naturalmente grava sul datore la prova, rigorosa, che la permanenza del lavoratore all'interno dell'unità produttiva possa compromettere l'organizzazione del lavoro all'interno di essa, ed in caso contrario il provvedimento, impugnato davanti al giudice, viene dichiarato illegittimo e quindi annullato.
3) Quanto tempo occorre per una separazione ?
RISPOSTA: Dipende dal tipo di separazione: nel nostro ordinamento ne esistono infatti due tipologie, che seguono procedimenti diversi.
Una è la separazione consensuale, che si caratterizza per la celerità e la brevità del giudizio: infatti con essa i coniugi raggiungono un accordo su tutte le questioni, dall'affidamento dei figli agli aspetti più strettamente patrimoniali; tale accordo, che deve essere confermato davanti al Presidente del Tribunale, ha efficacia e validità con la c.d. omologazione del Tribunale.
Praticamente, il giudizio di separazione consensuale si risolve in una unica udienza che, di solito, è fissata nell'arco di qualche mese dal Presidente del Tribunale, davanti al quale i coniugi compaiono per sottoscrivere le condizioni di separazione concordate, che peraltro il Giudice deve verificare essere rispondenti all'interesse dei figli: dopo tale udienza, il Tribunale omologa l'accordo e i coniugi sono separati.
Diversamente accade nel giudizio di separazione giudiziale: esso non si risolve in una sola udienza, ma, perdurando l'animosità e la contrapposizione tra i coniugi, tale tipo di giudizio può durare anche anni, soprattutto se vi sono forti dissapori circa l'affidamento dei figli, il loro mantenimento o il mantenimento del coniuge economicamente più debole, con notevole aumento dei costi.
4) Dopo quanto tempo dalla separazione si può chiedere il divorzio ?
RISPOSTA: Il termine di tre anni di ininterrotta separazione a far tempo dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale, previsto dall' articolo 3 n. 2 lett. b), legge n. 898 del 1970, per la proponibilità della domanda di divorzio, decorre dall'udienza presidenziale nella quale è stato emesso il provvedimento di autorizzazione dei coniugi a vivere separati, anche se la sentenza di separazione o il decreto di omologa del Tribunale interviene in un momento successivo.
La conseguenza è che i coniugi possono presentare il ricorso per divorzio anche se, per ipotesi, la sentenza di separazione sia intervenuta pochi mesi prima della scadenza dei tre anni dall'udienza presidenziale.
5) Se dopo il deposito del ricorso per separazione mi compro una casa, questa è di mia esclusiva proprietà ?
RISPOSTA: La cessazione della convivenza dei coniugi, ancorché autorizzata dal Presidente del Tribunale con i provvedimenti provvisori adottati a norma dell'articolo 708 comma 3 c.p.c., non esclude che i beni successivamente acquistati anche da un solo coniuge ricadano nella comunione legale, ai sensi dell' articolo 177 c.c. comma 1 lett. a), e quindi siano di proprietà di entrambi, dato che, in base alle regole evincibili dall' articolo 191 c.c., la comunione legale tra i coniugi viene meno con l'instaurarsi del regime di separazione, a seguito della sentenza giudiziale di separazione, ovvero del decreto che omologhi l'accordo al riguardo intervenuto.
Di conseguenza, prima di comprare un immobile, è opportuno attendere che diventi definitiva la sentenza di separazione o intervenga il decreto di omologa.
6) Dopo la sentenza di separazione giudiziale o l'omologa della separazione consensuale, posso chiedere la modifica delle condizioni di separazione?
RISPOSTA: L'art. 155 ter c.c. stabilisce che "i genitori hanno il diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l' affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità dell'assegno di mantenimento".
Tale disposizione deve essere poi posta in relazione all'art. 710 c.p.c., che, sotto il profilo processuale, precisa che "Le parti possono sempre chiedere, con le forme del procedimento in camera di consiglio, la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole, conseguenti alla separazione...".
Pertanto, sia nel corso del giudizio di separazione sia successivamente alla sentenza o all'omologa, ciascuna parte può chiedere al giudice di rivedere le disposizioni in materia di affidamento e mantenimento dei figli (o del coniuge), per qualunque motivo, non necessariamente connesso al mutare della situazione, anche se nella maggior parte dei casi gli ex coniugi chiedono la modifica delle statuizioni proprio perchè la situazione preesistente che aveva dato origine ad essi è mutata (ad es: sono migliorate o peggiorate le condizioni economiche del genitore non collocatario obbligato al contributo per il mantenimento dei figli, oppure sono intervenute circostanze tali da indurre una parte a chiedere l'affidamento esclusivo, etc etc).
7) Che cosa è l' usucapione ?
RISPOSTA: L'usucapione, o prescrizione acquisitiva, è un modo di "acquisto" dei diritti reali, come la proprietà di un fondo o di un bene mobile oppure una servitù (ad es: di passo) su un terreno.
Infatti i diritti reali (che sono, per opportuna conoscenza, la proprietà, il diritto di usufrutto, di superficie, di servitù, di uso e abitazione e di enfiteusi) possono essere acquisiti in due modi: o mediante un contratto, come una vendita, una donazione, o per testamento, ed in entrambi i casi esiste un atto scritto, oppure per usucapione, per la quale non è necessario avere alcun "pezzo di carta".
Perché si possa dire di aver usucapito un diritto (proprietà o servitù di passo) sono necessari determinati requisiti:
- innanzitutto il possesso del diritto per almeno venti anni, senza che nessuno abbia mai avanzato sul bene alcuna pretesa o abbia mai contestato il suo possesso;
- in secondo luogo, la convinzione di essere l'effettivo titolare di quel determinato diritto, esercitando sul bene tutti quei poteri e facoltà connessi all'esercizio del diritto stesso.
Ad esempio: nel caso della proprietà di un terreno, chi intende promuovere un'azione di usucapione deve dimostrare di averlo coltivato, o comunque di essersene preso cura in maniera continuativa per almeno venti anni; così pure nel caso di una servitù di passo: chi può dimostrare di essere passato su un determinato fondo per venti anni senza alcuna protesta da parte di alcuno, nella convinzione di esercitare un proprio diritto, ha usucapito quel diritto e pertanto potrà eventualmente agire in giudizio per ottenere un provvedimento del giudice che ne accerti l'esistenza.
8) Per anni ho usufruito di un passo su un terreno che ora è stato chiuso: cosa posso fare ?
RISPOSTA: Nel caso in cui il proprietario di un terreno, ad un certo punto, ponga una recinzione o altro manufatto che impedisca di fatto ad un terzo di passare su quel terreno (passo che magari esercita da diversi anni) quest'ultimo può ricorrere all'autorità giudiziaria per la tutela del proprio diritto: in via di urgenza, può ricorrere al giudice con l'azione detta di reintegrazione, disciplinata dall'art. 1168 c.c., con la quale chi si vede chiudere un passo può chiedere al giudice che condanni l'altro a rimuovere gli ostacoli in tempi brevi.
Successivamente può agire nei modi ordinari, citando in giudizio la controparte, affinché sia riconosciuto in maniera definitiva il suo diritto a passare su quel terreno, perché l'ha acquisito per contratto, per testamento o anche per usucapione.